Giulia Pietropaolo
Un velo pietoso
2023
Tecnica mista
L’opera nasce da riflessioni personali originate da fatti di attualità, si concretizza mettendo
in sinergia il linguaggio della moda e quello delle tecniche plastiche contemporanee. Vuol far
riflettere sulla privazione della libertà che ancora oggi alcune donne subiscono.
Da sempre la donna ha subito decisioni fatte da uomini e imposte da società o religioni. Spesso
il pensiero femminile, plasmato da tali imposizioni, è rimasto ingabbiato in esse a scapito della
libertà di genere. Senza la possibilità di poter evadere da tutto ciò. Sotto il velo di questa
Pietà non sappiamo se il pianto della madre è di rabbia ribelle o di sottomessa rassegnazione.
In questi tempi così moderni in cui i capi opposti del mondo sono collegati da un semplice click,
le donne tutte e gli uomini tutti devono lottare uniti per la libertà di ognuno. Non possono restare
in silenzio ad osservare come se fossero davanti ad un’opera di marmo!
Una madre che tiene sulle ginocchia sua figlia, una madre che piange la figlia persa perché voleva
solo essere libera di scegliere, una madre che è obbligata ad indossare un burqa dai suoi retaggi
e dalla tradizione a cui non sa o non può sfuggire, o che sceglie liberamente di usarlo. Questa
madre non combatte con la figlia, potrebbe addirittura essere complice delle imposizioni che
gliel’hanno tolta, ma la piange perché le sta sopravvivendo. Questa madre è ora una donna che
tiene in grembo un abito che vorrebbe indossare, ma ha paura, o sceglie, di non farlo.
Due abiti che comunicano in modo stridente la loro diversità: il burqa nero, austero, claustrofobico
che contrasta con i colori, l’allegria, la freschezza di un abito attuale e alla moda. Ma, contrariamente
a quanto ci aspettiamo, l’antico burqa vive con la madre mentre gli abiti moderni sono sulla figlia morta.
È il mio urlo silenzioso, per non lasciare sole le donne dell’Iran e tutte le altre donne, madri o figlie.